
Airbus 320 Germanwings - C’è ancora qualcosa da dire su Andreas Lubitz?
Ancora Due Considerazioni…
La prima è che Andreas Lubitz era giovane: come uomo e come pilota (600 ore di volo). Tuttavia tecnicamente era estremamente preparato. Volava sin da giovanissimo e aveva passato le selezioni secondo gli standard della federazioni più esclusive.
Nel suo piccolo incarna la situazione di una società che evolve scientificamente senza consapevolezza morale: alla capacità dell’uomo di disporre dell’energia nucleare non corrisponde la capacità di usarla in modo creativo anziché distruttivo.
Su questo i commentatori sono concordi nell’auspicare sistemi più efficaci nella selezione del personale di volo. Tuttavia il commento del collega Casolari sottolinea la pericolosa saldatura tra efficaci sistemi di controllo sociale e l’esigenza del singolo di sentirsi perfetto. Andreas Lubitz era in attesa di un ulteriore controllo medico e alcuni hanno ipotizzato che la paura di non passarlo possa essere stata una delle cause scatenanti la tragedia. Ovviamente non è possibile fare a meno dei controlli, ma questa tragedia dovrebbe insegnarci anche che è necessario chiedersi quali sono gli effetti di un certo tipo di controllo su un gruppo sociale come è in questo caso una compagnia di volo. I controlli predisposti sono di tipo tecnologico: prove psicometriche, test attitudinali, misurazioni biomediche. La tecnologia che cerca di controllare se stessa! Dalle ricostruzioni è sempre più evidente come il gesto di Lubitz sia stato altamente tecnologico: pianificato nel dettaglio ed eseguito con freddezza. Le normali chiacchiere con il pilota prima che questi uscisse dalla cabina, e le registrazioni di un respiro e ritmo cardiaco regolari nei minuti prima dello schianto.
Alcuni colleghi auspicano colloqui psicologici mensili. Può essere utile, ma nel caso Lubitz? Ci sarebbe stato lo spazio affinché si sviluppasse una relazione autentica, ovvero libera da un opprimente senso di controllo e perfezione? Il problema non è solo l’individuo, ma la cultura basata sull’ossessione del controllo che si realizza attraverso tecnologie utili ma disumanizzanti. Allora l’oggetto di intervento e prevenzione deve essere la cultura di un gruppo sociale. In questi casi ciò che si è rivelato altamente efficace è l’utilizzo di spazi di discussione e confronto in piccoli gruppi composti dal personale dell’azienda a diversi livelli e condotti da uno psicologo esperto nelle dinamiche di piccolo gruppo.
La seconda considerazione, a mio parere più insondabile, è relativa al fatto che Lubitz non solo si è ucciso, ma ha trascinato nel suo progetto molte persone. È insondabile perché, come giustamente e più volte ripetuto da eminenti colleghi, non molto di profondo e reale si può comprendere di una persona al di fuori del rapporto con lei. Ciò nonostante non possiamo fare a meno di fare ipotesi: questo è un link per averne un ventaglio tra le più serie ed autorevoli:
Si ipotizzano varie diagnosi che vanno oltre alla depressione (psicosi bianca, narcisismo maligno, psicopatia, etc). Questo è importante perché parlare di depressione è falso oltre che riduttivo e potrebbe ingenerare ingiustificati sensi di colpa o vergogna tra chi soffre di questo male, oltre ad altrettante reazioni di allarme tra i familiari). Come già riportato in alcuni nostri post, la depressione è una galassia e non deve essere usata come passepartout di fronte a ciò che ci atterrisce.
E il terrore che suscita è anche il motivo per cui non si può fare a meno di costruire ipotesi. Tuttavia ci sono ipotesi che chiudono e ipotesi che aprono. Le ipotesi che chiudono danno definizioni, propongono nomi e spiegazioni, inquadrano l’evento in una cornice così che si possa riporlo in un qualche scomparto ben chiuso della mente e renderlo facilmente inoffensivo perché etichettato come alieno: Lubitz era depresso o folle e la compagnia non ha controllato a dovere.
Poi ci sono ipotesi che aprono. Forse chi è alla ricerca di questo genere di ipotesi vuole comprendere più che spiegare perché non riesce a convincersi che Lubitz fosse semplicemente un mostro. Se leggete queste righe siete probabilmente alla ricerca di questo secondo tipo di ipotesi, non vi accontentate e volete sapere perché nel suo dolore ha trascinato la vita di altre 149 persone. Il problema di questo secondo tipo di ipotesi è che hanno la brutta abitudine di concludersi con un punto interrogativo invece che, come le altre con un punto a capo. Questo a molti non piace perché ci conduce dritti dritti ai nostri limiti, quegli stessi limiti che tragicamente Lubitz non ha potuto vedere.
Su questo credo si possa solo aggiungere che Andreas Lubitz soffriva di una malattia legata alla idealità: aveva un’ideale da realizzare, diventare comandante nei grandi voli di linea, e ha realizzato una morte che congelasse per sempre quel momento. I passeggeri erano comparse necessarie, parte del suo immaginario. Così come sono malattie dell’idealità gli attentati terroristici che in nome di un ideale terreno o ultraterreno compiono stragi di innocenti. E probabilmente in molte stragi familiari che si concludono con il suicidio il movente è voler preservare un ideale di famiglia divenuto insostenibile.
Ma, ripeto, questa ipotesi ci mette di fronte a più di una domanda:
E’ possibile fidarsi di chi non ha ideali? Chi non ne ha? è possibile farne a meno? Dove finiscono gli ideali e i valori ed iniziano le idealizzazioni e le ideologie?