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In che cosa consiste la psicoterapia

Le risposte della ricerca scientifica

Chi va dallo psicoterapeuta?

Che cosa fa la psicoterapia?

In che cosa consiste la psicoterapia?

Come funziona una seduta di psicoterapia?

Cosa si fa durante la psicoterapia?

Introduzione

Queste sono alcune delle domande più frequenti che le persone si pongono in merito alla psicoterapia. Ho provato già a rispondere in un precedente articolo (link). Qui vorrei rispondere facendo riferimento ai risultati della ricerca empirica che sono ormai in grado di fornire delle indicazioni molto precise e stimolanti su questi temi.

Prenderò in considerazione in particolare le ricerche ormai trentennali della prof. Wilma Bucci e la sua teoria del codice multiplo per i risultati estremamente convincenti ed esaurienti che sono in grado di offrire. Cercherò di farlo utilizzando un linguaggio il più possibile semplice ed accessibile.

La teoria del codice multiplo e i risultati empirici che essa ha raccolto sono in grado di rispondere a quattro domande in particolare:

  • Qual è la natura dei problemi che portano le persone in psicoterapia?

Questo è un po’ come chiedere chi va in psicoterapia, quali persone con quali problemi e di che natura sono questi problemi sono i migliori candidati per una psicoterapia

  • Che tipo di cambiamento cercano le persone che vanno in psicoterapia? Quali sono gli obiettivi della psicoterapia?

E questo è come chiedere che cosa fa la psicoterapia

  • Come opera la psicoterapia per realizzare un cambiamento?

Qui si potrebbe rispondere a chi chiede in cosa consista la psicoterapia, o cosa si fa durante una psicoterapia o semplicemente come funziona

  • Come facciamo a sapere se un cambiamento ha avuto luogo in psicoterapia?

Questa è una domanda che chi si sta chiedendo se intraprendere una psicoterapia normalmente non si pone, ma è una domanda che si pone lo psicoterapeuta o che almeno dovrebbe porsi.

La cornice teorica: la teoria del codice multiplo

Per comprendere il funzionamento della psicoterapia è necessario avere un modello di come funziona la mente. In questa teoria la mente è considerata un organo preposto all’elaborazione dell’informazione. La mente dispone per sua natura tre modi sostanziali in cui elabora le informazioni.

Il sistema verbale-simbolico

Questo è quello a tutti più noto, ovvero quello che meglio si esprime con le parole: quando pensiamo come se stessimo parlando stiamo elaborando delle informazioni attraverso le parole. Usiamo per pensare un canale verbale. Questo tipo di pensiero è tipicamente umano, ed è estremamente potente perché è in grado di generare dei concetti. Infatti si basa su dei simboli (le parole) che possono essere combinati (ad esempio in un discorso) ed arrivare a generare nuovi concetti. Questo sistema viene chiamato verbale-simbolico.

Il sistema non verbale-simbolico

Un altro sistema è quello che si basa sulle immagini, che possono essere sia visive, ma anche acustiche o basate su altre modalità sensoriali. Il momento in cui è più evidente il modo di elaborazione secondo questo canale è quello del sogno, in cui le immagini vengono combinate in modalità espressive. Anche questo canale si basa su dei simboli discreti, un’immagine è un simbolo di qualcosa, ma le modalità combinatorie seguono delle regole differenti da quelle del sistema verbale. Le immagini hanno spesso una funzione evocativa, associativa ed in qualche modo ristrutturante il pensiero. Spesso hanno una funzione creatrice ed è noto come in alcuni ambiti della scoperta scientifica hanno avuto una funzione di riorganizzare in modo intuitivo ed innovativo alcune teorie scientifiche. Qui il pensiero più che essere generato viene visto (o sentito, gustato, etc) e questo permette un’elaborazione spesso nuova e creativa degli oggetti cui viene rivolto.

Il sistema non-simbolico

Infine un terzo modo per elaborare le informazioni è quello non-simbolico che è particolarmente adatto all’elaborazione senso-motoria, ovvero del movimento e della sensorialità. È quello usato quando si impara ad eseguire un nuovo movimento in uno sport o in una danza, quando calcolate i tempi per sorpassare un auto mentre guidate, per comprendere dall’inflessione della voce lo stato emotivo del vostro interlocutore, e così via. Questa elaborazione non si basa su unità di informazione discrete (i simboli) ma su un flusso continuo ed ininterrotto di informazioni, sul variare della sua gradazione in base alla nostra percezione (sia esterna che interna o propriocettiva) o orientamento nel tempo e nello spazio. Questa elaborazione non avviene in sequenza, considerando un elemento dopo l’altro in modo ordinato (come nell’elaborazione simbolica), ma in parallelo considerando le diverse fonti informative e la loro elaborazione contemporaneamente.

Processi consci o inconsci?

Tendenzialmente ognuno di questi sistemi sembra essere deputato ad essere tipicamente cosciente (il sistema simbolico) o viceversa avvenire a livello inconscio (il sistema non simbolico). Tuttavia l’elaborazione in ognuna di queste modalità può avvenire tanto a livello cosciente (ad esempio se dovete compiere una manovra particolarmente difficile in auto, sarete coscienti movimenti che state svolgendo, così come mentre state imparando ad andare in bicicletta sarete consapevoli delle prove ed errori per poi “dimenticarvi” di tutte queste manovre una volta imparato), che a livello inconscio.

Trasformazione o integrazione?

Visto che la mente ha queste diverse modalità per elaborare le informazioni è legittimo chiedersi se un buon funzionamento mentale è dato dalla capacità della mente di trasformare le informazioni elaborate in un sistema (ad esempio quello non simbolico) in un altro sistema (ad esempio quello verbale simbolico). Ovvero, prendiamo il caso di un’esperienza emotiva: come è noto possiamo avere difficoltà a tradurre in parole un particolare stato emotivo, potremmo avere bisogno di immaginare quell’emozione ad esempio richiamando alla mente un episodio della nostra vita in cui ci siamo sentiti in quel modo, o anche la scena di un film o un quadro o un pezzo musicale. Una volta immaginata quell’emozione ci sarà possibile con molta probabilità tradurla in parole. Ora in apparenza ciò che abbiamo fatto è una sorta di traduzione. Tuttavia la teoria del codice multiplo non sostiene questo, ma piuttosto che l’informazione è stata integrata. Sembra in apparenza una differenza di poco conto, ma in realtà è sostanziale perché questo ci guiderà nella risposta delle domande che ci siamo posti: la mente funziona bene quando è in grado di integrare le informazioni che può acquisire da tutti i suoi canali di elaborazione, non-simbolici e simbolici. Questo perché ogni canale ha delle potenzialità specifiche sia in rapporto agli oggetti cui si indirizzano (ad esempio il non-simbolico è molto sensibile all’elaborazione degli stati emotivi) sia in rapporto alle capacità di farne “tesoro” (tipicamente il canale verbale ci mette in grado di comunicare in modo chiaro sia con noi stessi che con gli altri). Dunque una mente che funziona bene è quella che è in grado di integrare le informazioni e ciò che ci appare come una “trasformazione” non è altro che lo spostarsi della coscienza da un canale all’altro. Viceversa la sofferenza mentale si ha quando per qualche motivo le connessioni tra i diversi canali vengono perse, e non abbiamo una corrispondente immagine o parola per uno stato emotivo ad esempio.

Chi va dallo psicoterapeuta?

Per rispondere a questa domanda la teoria del codice multiplo si serve del concetto di “schema emozionale”. Questo è un concetto piuttosto complesso che cercherò di rendere nel modo più semplice ed immediato possibile.

Lo schema emozionale

Siamo abituati a pensare alle emozioni come ad una serie piuttosto limitata e finita di stati (rabbia, paura, gioia, tristezza, disgusto). Chi ha visto “insideout” della pixar avrà riconosciuto i corrispondenti avatar colorati che animano la mente dei protagonisti. Questa classificazione ha degli antecedenti scientifici ben consolidati: ha una sua verità dal momento che si è riconosciuta la presenza transculturale di un numero limitato di stati emotivi di base associati ad espressioni facciali che le persone riconoscono a prescindere dalla cultura di appartenenza. Tuttavia sappiamo bene che la vita emotiva di ciascuno di noi è estremamente più complessa e si compone di una varietà infinita data dalla compresenza più o meno intensa di ciascuna di queste emozioni di base, associate a vissuti personali, aspettative di risposta da parte di sé e degli altri e a rappresentazioni di sé che vanno a costituire la propria identità e continuità dell’esistenza. (Anche per questo motivo si tende a parlare in questo casi di affetti invece che di emozioni).

Dunque lo schema emozionale è costituito da un nucleo affettivo (perlopiù elaborato dal sistema non simbolico) che ha un correlato in un’attivazione corporea e da un insieme di memorie di vita espresse in immagini o parole che includono aspettative su di sé e gli altri.

Si pensa che è più indicato, per descrivere questa complessità, parlare di “schemi emozionali”. Si vuole in sostanza tenere conto di questi elementi aggiuntivi rispetto alla semplice descrizione delle emozioni di base:

  1. Gli stati emotivi sono una miscellanea di emozioni che si presentano con diversa intensità e sequenza. Pensate ad esempio alla trepidazione di fronte ad un primo appuntamento da cui si è attratti, spaventati ed eccitati insieme e come questi stati si possono alternare
  2. Ciò che rende questi stati emotivi ancora più profondi e pervasivi è il loro legame con il mondo del simbolico, così come descritto prima: evocheranno una serie di immagini (di vita personale, o tratte da libri o film etc) così come si assoceranno a descrizioni di sé o ad aspettative da parte degli altri;
  3. Infine l’idea di schema include una descrizione di interazione con la realtà. Questa contempla sia come tendiamo a disporci ad essa in base allo schema che si è attivato in noi in risposta ad una determinata situazione. Ma contempla anche la possibilità di cambiare quello schema incorporandovi nuove esperienze che in futuro andranno a determinare una diversa risposta ad una situazione analoga.

Chi va in psicoterapia?

Dunque dopo questa lunga premessa teorica possiamo rispondere che in alcuni casi qualcosa non funziona, dei legami si rompono e le persone hanno bisogno di andare in psicoterapia.

Questo avviene quando uno schema emozionale non si è potuto integrare tra i diversi sistemi di elaborazione. Il nucleo affettivo di uno schema emozionale si dissocia dall’elaborazione in immagini e parole. Abbiamo un’emozione che non abbiamo potuto legare al sistema delle immagini e/o a quello delle parole e l’emozione rimane senza significato. Questo avviene perché l’emozione era troppo traumatica ed eccedeva le nostre capacità di elaborazione o di pensiero. Il trauma è sempre in rapporto all’intensità di un’emozione da un lato e dalla possibilità di poter fruire dell’assistenza di qualcuno che ci aiuti ad elaborarla. Dunque l’emblema dell’esperienza traumatica è il subire un abuso da parte di un genitore, proprio chi dovrebbe aiutarci ad elaborare un’esperienza emotiva così intensa ne è allo stesso tempo la causa. Ovviamente non è questo l’unico motivo per cui si va in psicoterapia, ma ogni volta che questo rapporto tra intensità emotiva e disponibilità ad elaborare si rompe od interrompe può essere necessario un intervento psicoterapeutico.

Ecco alcuni esempi di cosa può accadere quando il nucleo affettivo non accede ad un significato, ovvero si dissocia dalle possibilità associative delle immagini o generative delle parole:

– si potrà cercare un significato attraverso l’attivazione di altri simboli: questo è l’esempio della fobia (ho paura dei ragni che vanno a significare una paura che è rimasta senza oggetto e vagante dentro di me) o anche di un senso di persecuzione.

– si potrà esprimere in una serie di agiti di diversa gravità ad esempio con comportamenti antisociali o aggressivi

– cercare di sedarla con sostanze, col gioco d’azzardo, o con promiscuità sessuale

isolandosi dall’esperienza per evitare di riattivare quell’attivazione che sente fuori controllo

– con attacchi di panico o con sintomi somatici.

Che cosa fa la psicoterapia?

Proviamo ora a rispondere come opera la psicoterapia. Come noto esistono diversi modelli di psicoterapia (psicodinamica-psicoanalitica, sistemico-relazionale, cognitivo comportamentale, etc). Le ricerche ispirate alla teoria del codice multiplo si sono applicate per lo più a psicoterapie psicodinamiche, ma anche a trattamenti psicocorporei e di altri orientamenti. In realtà la stessa teoria del codice multiplo ha rinnovato alcuni aspetti della teoria psicoanalitica, così come ha indicato i fattori terapeutici comuni ad altri trattamenti. Ma rispetto a questo andiamo in un ambito un po’ troppo specialistico.

Coerentemente con quanto sopra la psicoterapia, affinché sia efficace e possa garantire un cambiamento che oltre ad essere utile e di sollievo al paziente, sia anche duraturo si propone di cambiare gli schemi emozionali che non risultano disconnessi o non sufficientemente integrati, o non sviluppati in modo adeguato.

Il target della psicoterapia è dunque lo schema emozionale.

Anche se l’obiettivo immediato è cambiare i sintomi, la terapia psicodinamica va oltre vuole cambiare i schemi emotivi sottostanti. Questi obiettivi non saranno articolati e riconosciuti fin dall’inizio. Motivo per cui le psicoterapie psicodinamiche sono terapie più lunghe e complesse.

Tuttavia, gli obiettivi che la psicoterapia psicodinamica si pone sono finalizzati ad ottenere un cambiamento negli schemi di emozioni sottostanti i sintomi, che sono dissociati e dolorosi. Anche se inizialmente questi obiettivi non sono articolati o riconosciuti dai pazienti, si sviluppano con il progredire della terapia.

La psicoterapia si propone di curare la dissociazione presente negli schemi emozionali a causa di un trauma. La dissociazione è tra il livello non-simbolico ed i livelli simbolici. Vi è uno schema che tende ad attivarsi senza che vi sia la possibilità per la persona di dargli un significato.

In cosa consiste e come funziona la psicoterapia?

Questa domanda è ambigua, perché può essere intesa in diversi modi: cosa fa concretamente il paziente quando va in psicoterapia, ovvero quale è il suo compito; o viceversa può essere intesa cosa fa lo psicoterapeuta, come opera, quali sono i suoi strumenti e le sue azioni; infine può essere intesa come concretamente la psicoterapia, in base a ciò che vi avviene al suo interno, a ciò che fanno i suoi partecipanti, paziente e psicoterapeuta, può essere efficace e condurre ad un cambiamento.

Le ricerche di Wilma Bucci si sono occupate per lo più della terza e ultima questione. E anche qui ci occuperemo solo di questo, perché ciò che viene chiesto di fare al paziente varia a seconda della tecnica psicoterapeutica ed in parte anche in base alla problematica del paziente, così come il modo di operare dello psicoterapeuta è un tema piuttosto ampio e relativo all’orientamento su cui si è specializzato.

Ci dobbiamo limitare a dire che la psicoterapia consiste in un dialogo tra due persone, dove una parla molto e sempre di sé, l’altra molto poco e solo dell’altro.

Mentre, come ho scritto prima, l’obiettivo della psicoterapia è (ri)connettere il nucleo affettivo, elaborato o vissuto solo a livello non simbolico con i canali di elaborazione simbolica verbale o non-verbale. Come è possibile questo in psicoterapia?

Ciò che sappiamo è che le persone non solo elaborano a diversi livelli, ma comunicano a diversi livelli. Quando vediamo una persona sorridere, non solo codifichiamo l’immagine visiva (sistema simbolico non verbale) ma sentiamo quel sorriso. Sono ormai note le ricerche che hanno dimostrato la capacità imitativa automatica del cervello di percepire un movimento o un emozione nell’altro (i neuroni specchio). In pratica a livello subliminale i muscoli facciali del sorriso si attivano in risposta alla vista del sorriso dell’altro.

Questi micro-processi sono sempre all’opera. Se abbiamo a che fare con una persona che ha dissociato le sue emozioni accadranno delle cose abbastanza singolari. Ovvero quella persona ci comunicherà l’emozione che sta vivendo senza essere consapevole né di comunicarcela né che la sta vivendo. Questo è all’origine di molte interazioni disfunzionali nella vita di tutti i giorni delle persone che per un motivo o per un altro finiscono fortunatamente per chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.

In psicoterapia questo processo avviene in modo controllato e sicuro. La psicoterapeuta che riceve una comunicazione inconscia e suo malgrado di un’emozione, che molto probabilmente è un’emozione negativa (rabbia, vergogna, paura, etc) dovrebbe essere in grado di riconoscerla, di non mischiarla con le sue reazioni emotive e trovare il tempo ed il modo giusto di renderla accessibile ed elaborabile al paziente.

Questo in estrema sintesi ed in modo riduttivo è ciò in cui consiste il processo terapeutico. Ovviamente su questo ci sono innumerevoli varianti, inciampi, ostacoli. Ma ciò che è importante tenere a mente è l’obiettivo della psicoterapia (cambiare gli schemi emozionali attraverso una riconnessione dei livelli non-simbolici e simbolici per permettere una loro integrazione) e gli strumenti della psicoterapia (comunicazione non-simbolica paziente-psicoterapeuta e successiva elaborazione condivisa a livello simbolico).

P=paziente T=psicoterapeuta

Il processo referenziale

Questo processo, all’interno della teoria del codice multiplo, prende il nome di processo referenziale perché indica la possibilità di poter trovare un riferimento simbolico (verbale o non verbale) ad un vissuto emotivo non simbolico. Viene inoltre concettualizzato come un processo dinamico composto da tre funzioni di base che si susseguono arricchendo e differenziando gli schemi emozionali. Le tre funzioni sono:

l’attivazione/arousal: che descrive il livello di attivazione corporeo o viscerale in risposta ad uno stato emotivo;

la simbolizzazione/narrazione, che è la funzione di espressione in immagini, o in episodi vividi e concreti di uno stato emotivo;

la riflessione/riorganizzazione, che è la funzione in cui a posteriori si risistematizza ciò che si è vissuto o capito dell’esperienza emotiva e lo si può riconcettualizzare o definire in modo nuovi.

Come facciamo a sapere se ha avuto luogo un cambiamento in psicoterapia?

Come dicevo all’inizio, questa è una domanda che probabilmente interessa più agli psicoterapeuti che ai pazienti. Se vado in psicoterapia sarò in grado di capire se sto meglio e tanto basta. Tuttavia non è così semplice, perché c’è cambiamento e cambiamento. A volte si è provato un semplice sollievo dal sintomo e dopo poco tempo questo si ripresenterà uguale oppure spostato in altre forme. Dunque ai ricercatori ed agli psicoterapeuti interessa sapere se è avvenuto un cambiamento sufficientemente duraturo.

In questo ambito sta il maggiore apporto delle ricerche di Wilma Bucci.

 Ha infatti sviluppato insieme alla sua equipe di ricerca una serie di misure per valutare la presenza nel linguaggio delle tre funzioni del processo referenziale (attivazione/arousal, simbolizzazione/narrazione, riflessione/riorganizzazione). Queste misure sono state applicate ai trascritti dei dialoghi delle sedute di psicoterapia e si sono rivelate estremamente attendibili e in grado di fornire un’immagine plastica del processo referenziale in azione durante una seduta di psicoterapia.

Un tipico processo terapeutico in grado di favorire la connessione-evoluzione degli schemi emozionali si ha in una sequenza di questo tipo:

– il paziente parlando mostra un alta attivazione e bassa simbolizzazione. Questo indica che è presente un’emozione senza che il paziente riesca a darle significato;

– il terapeuta assiste il paziente fornendo una parola, un’immagine, un’associazione (alta simbolizzazione)

– il paziente risponde associando altre immagini o un racconto di un episodio di vita, o ricorda un sogno (alta attivazione, alta riflessione)

– paziente o terapeuta riflettono e riorganizzano l’esperienza emotiva (alta riflessione/riorganizzazione).

Questa sequenza estremamente semplificata è una sorta di ossatura del processo psicoterapeutico che testimonia un continuo lavoro di connessione e riconnessione dei diversi livelli di elaborazione della mente e la conseguente evoluzione degli schemi emozionali.

Per saperne di più

Link su Wilma Bucci

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